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Dove / Where focus

” Prendete l’elmo…/ Take the helmet…”

igbo izzi
le opere esposte

«Egli si è rivestito di giustizia come di una corazza, e sul suo capo ha posto l’elmo della salvezza» (Is 59,17)

L’elmo  è insieme oggetto e metafora, e viene dalla profondità del tempo. Quello in metallo, destinato a proteggere fisicamente la testa, risale al tempo dei Sumeri ( III millennio a.C.); prima era in cuoio, o stoffa. Aegishjalmur, anche conosciuto come Elmo dell’Orrore o Elmo dell’Impavido, è l’antico simbolo a cui i Vichinghi attribuivano il potere di fornire protezione e infondere paura nei cuori dei nemici. In Italia “l’Elmo di Scipio” è metafora centrale del nostro Inno Nazionale. Noto anche come elmo di Annibale,  appartenne  al celebre comandante Publio Cornelio Scipione; fu preda di guerra del generale cartaginese Annibale nel periodo delle guerre puniche, diventando l’emblema della grande sfida tra Roma e Cartagine e finendo per rappresentare il coraggio e la forza dei guerrieri di entrambe le fazioni. L’elmo appare anche in numerose leggende, storie e racconti popolari marittimi, solitamente come uno strumento che determina il destino delle navi e dei loro equipaggi. Queste storie spesso si concentrano sul tema della lotta umana contro le forze della natura, e l’elmo rappresenta la capacità umana di influenzare il proprio destino nonostante gli ostacoli esterni. (  https://symbolopedia.com/it/helm-symbolism-meaning/ ) . 

Il valore simbolico di questo tipo di oggetto ragionevolmente deriva dal fatto che ripara la parte più fragile, misteriosa e vitale del corpo umano: la testa, il luogo fisico che ospita la parte immateriale dell’essere umano, il pensiero. Si può dire che è l’essenza identitaria di una persona, e da qui nasce  la necessità di proteggerla ed insieme di riconoscerne l’importanza vitale. L’elmo è “oltre” la maschera – che copre solo il viso – perchè altera e protegge anche le parti  meno visibili e misteriose della natura umana, tra cui il  cervello. Nella tradizione biblica la valenza metaforica dell’elmo indica la stessa direzione, facendo parte delle armi di difesa di cui Dio riveste i suoi fedeli: ; Egli riveste i suoi fedeli con elmo, scudo, corazza e spada; lo scudo protegge il cuore e la corazza il corpo ma è l’elmo che  protegge la testa, da cui provengono i pensieri. La metafora  delle armi come simboli della protezione di cui Dio riveste il credente si chiarisce e rinnova nell’Apostolo Paolo; «Indossate l’armatura di Dio per poter resistere alle insidie del diavolo e spegnere le frecce infuocate del Maligno» (cfr. Ef 6,11-17). Agli Efesini raccomanda di «Prendere anche l’elmo della salvezza» (cfr. Ef 6,17a). Il verbo greco significa anche  «accettare l’elmo della salvezza» implicando significativamente la necessità di accettare l’azione salvifica di Dio nell’ambito di un rapporto attivo tra Creatura e Creatore. L’elmo diventa quindi metafora di speranza, e non solo di difesa.  Sempre Paolo, nella lettera ai Tessalonicesi, afferma : «Noi invece, che apparteniamo al giorno, siamo sobri, vestiti con la corazza della fede e della carità, avendo come elmo la speranza della salvezza» (cfr. 1Ts 5,8).

La storia più approfondita dell’elmo si può trovare qui  ( https://www.treccani.it/enciclopedia/elmo/# ), ed è interessante notare che mentre i caschi militari contemporanei sono semplici dispositivi difensivi, fino all’inizio del secolo scorso essi “parlavano”, nel senso che oltre a svolgere la necessaria funzione protettiva erano arricchiti di forme, materiali o colori simbolici; l’esempio più eclatante  è l’elmo Kabuto, in uso ai Samurai Giapponesi di alto rango ( https://temizen.zenworld.eu/paginezen/approfondimenti/kabuto-funzioni-e-simboli-dell-elmo-giapponese ). Anche una semplice e sommaria ricostruzione come questa consente di cogliere la dimensione archetipale che può assumere un semplice oggetto, se posto in una logica speculativa, ma è il porsi davanti alla declinazione dell’oggetto “elmo” che fanno le culture extraeuropee – e particolarmente quelle africane – a  rendere evidente la potenza narrativa delle immagini e delle loro manifestazioni materiali. 

Le maschere a elmo che abbiamo raccolto per questa esposizione sono profondamente differenti tra loro nel linguaggio estetico. Si va dalla astrazione essenziale della maschera ad elmo  Mumuye alla potenza realistica dei caschi Bundu, ma nulla è lasciato al caso; ogni forma, colore, segno, la stessa materia usata, serve ad evocare uno stato di coscienza ed a comunicarlo, riannoda il filo perenne tra il reale e l’immaginato, l’immanente e il trascendente. Il dialogo con il nostro tempo ed il nostro mondo è affidato alla presenza di un casco usato nel gioco del Football  Americano e precisamente dai Pirates 1984: Hard but fair,  questa disciplina sportiva ha il pregio di subliminale gli istinti aggressivi indirizzandoli in un sistema di valori positivi.

Le “Teste” di Rainer Kriester sono invece la formidabile traduzione nel linguaggio dell’arte moderna di quel misterioso linguaggio archetipale che impregna le opere provenienti da Continenti lontani:  Non è un caso che il grande Maestro Tedesco,  che scelse la nostra terra come Casa dell’ Anima,  fosse così attento alle forme delle opere tradizionali Africane; chirurgo ( 1) delle forme artistiche viste attraverso i saperi  assorbiti nei giovanili studi di medicina,  Rainer osservava una maschera, una scultura, la interiorizzava d’istinto  fermandola sulla carta, grazie alla sua grande abilità di acquerellista, ne fissava gli elementi fondanti per tradurli poi nella essenzialità del suo linguaggio artistico, che risulta così insieme sorprendentemente attuale ed emergente dalla profondità del tempo. Attenzione però! I linguaggi apparentemente lontani evocati dalle  opere esposte parlano di vita e di morte, di amore e di sofferenza, parlano cioè anche di noi, e per noi. Ma bisogna volere, e sapere, vedere. 

1) L’etimologia della parola chirurgo ha le sue radici nel dal greco χειρουργός (cheirourgos), formato da χείρ (cheir) = mano e da ἔργον (ergon) = opera; il chirurgo, quindi, è colui che opera con le mani). 

una collezione di maschere ad elmo africane dialoga con una scultura di Rainer Kriester ed un casco da Football Americano...

“He has put on justice as a breastplate, and on his head he has placed the helmet of salvation” (Is 59:17)

The helmet is both an object and a metaphor, and comes from the depths of time. The metal one, intended to physically protect the head, dates back to the time of the Sumerians (3rd millennium BC); before that it was made of leather, or cloth. Aegishjalmur, also known as the Helmet of Horror or the Helmet of the Fearless, is the ancient symbol to which the Vikings attributed the power to provide protection and instill fear in the hearts of enemies. In Italy, “Scpio’s Helmet” is the central metaphor of our National Anthem. Also known as Hannibal’s helmet, it belonged to the famous commander Publius Cornelius Scipio; was a war booty of the Carthaginian general Hannibal during the Punic Wars, becoming the emblem of the great challenge between Rome and Carthage and ending up representing the courage and strength of the warriors of both factions.

The helmet also appears in numerous legends, stories and maritime folk tales, usually as an instrument that determines the fate of ships and their crews. These stories often focus on the theme of the human struggle against the forces of nature, and the helmet represents the human ability to influence one’s own destiny despite external obstacles. ( https://symbolopedia.com/it/helm-symbolism-meaning/  ) .

The symbolic value of this type of object reasonably derives from the fact that it protects the most fragile, mysterious and vital part of the human body: the head, the physical place that houses the immaterial part of the human being, thought. It can be said that it is the essence of a person’s identity, and from here comes the need to protect it and at the same time to recognize its vital importance. The helmet is “beyond” the mask – which only covers the face – because it also alters and protects the less visible and mysterious parts of human nature, including the brain.

In the biblical tradition, the metaphorical value of the helmet indicates the same direction, being part of the defensive weapons with which God clothes his faithful: He clothes his faithful with a helmet, shield, breastplate and sword; the shield protects the heart and the breastplate the body but it is the helmet that protects the head, from which thoughts come. The metaphor of the weapons as symbols of the protection with which God clothes the believer is clarified and renewed in the Apostle Paul; “Put on the full armour of God, that you may be able to resist the wiles of the devil and to extinguish the flaming arrows of the Evil One” (cf. Eph 6:11-17). He recommends to the Ephesians to “take also the helmet of salvation” (cf. Eph 6:17a). The Greek verb also means “to accept the helmet of salvation”, significantly implying the need to accept the saving action of God within an active relationship between Creature and Creator. The helmet thus becomes a metaphor for hope, and not just defense. Again Paul, in the letter to the Thessalonians, states: “But we who belong to the day, let us be sober, putting on the breastplate of faith and love, and for a helmet the hope of salvation” (see 1 Thess 5:8).

The more in-depth history of the helmet can be found here ( https://www.treccani.it/enciclopedia/elmo/# ), and it is interesting to note that while contemporary military helmets are simple defensive devices, until the beginning of the last century they “spoke”, in the sense that in addition to performing the necessary protective function they were enriched with symbolic shapes, materials or colors; the most striking example is the Kabuto helmet, used by high-ranking Japanese Samurai ( https://temizen.zenworld.eu/paginezen/approfondimenti/kabuto-funzioni-e-simboli-dell-elmo-giapponese  ).

Even a simple and summary reconstruction like this allows us to grasp the archetypal dimension that a simple object can assume, if placed in a speculative logic, but it is placing ourselves in front of the declination of the “helmet” object that non-European cultures – and particularly African ones – do that makes the narrative power of images and their material manifestations evident.

The helmet masks that we have collected for this exhibition are profoundly different from each other in aesthetic language. They range from the essential abstraction of the Mumuye helmet mask to the realistic power of the Bundu helmets, but nothing is left to chance; every shape, color, sign, the same material used, serves to evoke a state of consciousness and to communicate it, re-ties the perennial thread between the real and the imagined, the immanent and the transcendent. The dialogue with our time and our world is entrusted to the presence of a helmet used in the game of American Football, and precisely from Pirates 1984. Hard but fair,  

this sporting disciplinehas the merit of subliminalizing aggressive instincts by directing them into a system of positive values.

Rainer Kriester’s “Heads” are instead the formidable translation into the language of modern art of that mysterious archetypal language that permeates the works coming from distant continents: It is no coincidence that the great German Master, who chose our land as the Home of the Soul, was so attentive to the forms of traditional African works; a surgeon (1) of the artistic forms seen through the knowledge absorbed in his youthful medical studies, Rainer observed a mask, a sculpture, internalized it instinctively, stopping it on paper, thanks to his great skill as a watercolourist, he fixed its founding elements to then translate them into the essentiality of his artistic language, which thus appears both surprisingly current and emerging from the depths of time. But be careful! The apparently distant languages ​​evoked by the works on display speak of life and death, love and suffering, that is, they also speak of us, and for us. But you have to want, and know, to see.

1) The etymology of the word surgeon has its roots in the Greek χειρουργός (cheiourgos), formed from χείρ (cheir) = hand and ἔργον (ergon) = work; the surgeon, therefore, is he who operates with his hands).

Giuliano Arnaldi, Onzo 16 ottobre 2024

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Dove / Where focus

Un #arcipelagoculturale nel Ponente ligure /a cultural arcipelago in Western Liguria

Presentato a Villanova d’Albenga  il nuovo spazio di MAP, Museo di Arti Primarie.

Un grande spazio industriale vuoto. Pochissime opere d’arte – cinque –  provenienti da luoghi e tempi molto diversi tra loro, scelte ad esempio di quanto verrà ospitato nello spazio . Un pianoforte a coda al centro. Un musicista che fa dialogare i suoi strumenti con la eco imponente che caratterizza lo spazio, camminando tra poche persone che anch’esse si aggirano incuriosite nello spazio suggestivo e straniante. 

Enzo L’Acqua, Strutture Asimmetriche . olio su tela anno 2000. In primo piano il pianoforte Bechstein, 1922.

Così  è stato presentato domenica 22 settembre   a Coasco (Villanova d’Albenga) in località Marina Verde un nuovo spazio destinato ad ogni forma d’arte, apripista di un progetto destinato a trasformare entro il 2025 l’intero luogo ( notissimo Centro sportivo fino a qualche anno fa ) in un Polo Fieristico Museale di respiro internazionale.

“ Sugli oltre 50.000 mq di verde e spazi edificati sorgeranno in progressione spazi dedicati a musica, teatro, esposizioni d’arte, workshop in collaborazione con prestigiosi Istituti di Cultura nazionali ed internazionali. Entro dicembre 2024 cinquecento metri quadrati fino a poco tempo fa usati come magazzini diventeranno Spazio Espositivo Permanente,. Seguirà il recupero del resto dello spazio, confidando nella collaborazione attiva delle realtà pubbliche e private presenti sul territorio “ dice il giovane Presidente della Associazione MAP, Museo di Arti Primarie  Lorenzo Gaudenti,  Laureato in Scienze dei Beni Culturali presso lUniversità degli Studi di Milano e Laureato in Economia e Gestione delle Arti e delle Attività Culturali presso lUniversità Ca’ Foscari di Venezia.

La deposizione di Cristo, olio su tela cm 90,8 x 117. Italia Centrale, XVI secolo

“ LAssociazione MAP – Museo di Arti Primarie, è nata con lobiettivo di contribuire a rendere sempre più evidente  lesistenza di un  #arcipelagoculturale che rende vivo il territorio Ingauno grazie al mare di intelligenze, attività, memorie che caratterizza questa realtà da secoli. La cultura non è solo un inutile orpello, ma presidio di civiltà e motore di uneconomia sostenibile, che valorizza appartenenze e tradizioni locali, ponendole in relazione con la complessità della globalizzazione” prosegue Gaudenti, “ si avvale della #CollezioneTribaleglobale – e di altre collezioni private – per costruire eventi che per il tramite della potenza evocativa della bellezza costruiscono dialoghi destinati ad agire nel profondo; larte non è semplice decorazione, ma strumento destinato a evocare stati di coscienza legati alle grandi domande che lessere umano si pone da sempre, e le arti extraeuropee, nella loro essenzialità archetipica, risultano sorprendentemente attuali e adeguate a dialogare sia con i linguaggi tradizionali dellarte Occidentale, sia con le forme di espressione più contemporanee nate dalla nuove opportunità creative offerte dalle nuove tecnologie e dalla rivoluzione comunicativa consentita da Internet.” 

Rainer Kriester, Testa chiodata. Bronzo.
Maschera ad elmo Ngontang, Cultura Fang . Metà del XX secolo. Legno, caolino, pigmenti naturali h. cm 27. Prov. Fernandez Leventhal- NYC – e Arte Primitivo- Barcellona –

MAP è una rete di spazi espositivi esistenti da anni, e in divenire: le Case degli Artisti di Onzo e Cosio d’Arroscia, la Biblioteca Tribaleglobale di Onzo e il Parco delle Sculture di Rainer Kriester, a cui si aggiunge  oggi il  nuovo, importante e prestigioso sito di  Villanova d’Albenga. 

Lo spazio visto attraverso la Scultura Omu, Villaggio Irogo,fiume Jerei . Nord ovest Asmat . Legno policromo cm 258.
Ex Todd Barlin, ex Theodore Bruce Auction, Sidney

La presentazione è stata decisamente inusuale e suggestiva, pensata per indicare quale sarà il linguaggio espositivo scelto dagli organizzatori. Gli invitati ( artisti, operatori culturali, esponenti di Associazioni e Istituzioni ) sono entrati uno ad uno nel grande capannone che fino a poche settimane fa ospitava materiale edile, accolti dal suono del corno di Jean Duchamp, prestigioso musicista e musicologo francese che ha composto appositamente per l’evento una serie di brani intitolati “6 Echoes from Marina Verde “, caratterizzati dal dialogo tra gli strumenti musicali usati e la eco prodotta dal grande spazio vuoto; all’interno, sul lato sinistro un grande dipinto del XVI secolo posto a dialogare con un’opera in bronzo di Rainer Kriester ed una importante maschera a elmo di cultura Fang ( Gabon ) . Al centro, davanti al pianoforte a coda ( un Bechstein del 1922 posto su un antico tappeto persiano) la dimensione contemporanea delle arti visive è testimoniata da un grande trittico di Enzo L’Acqua ( Strutture Asimmetriche , cm 190 x 225, anno 2000) . Sul lato opposto dello spazio è una grande scultura del popolo Asmat  ( Papua N.G.) , 258 cm di altezza, a garantire il dialogo tra tempi e luoghi così diversi tra loro. 

“ Per tutto il mese di ottobre lo spazio ospiterà performance musicali e teatrali che  si terranno in concomitanza con le attività di ristrutturazione degli spazi, ovviamente nel rispetto delle normative di sicurezza; da qui la scelta di chiamare questo ciclo di eventi #bellezzaincantiere” dice Giuliano Arnaldi, Curatore del MAP, “ Per questo motivo non prevediamo l’apertura al pubblico, ma la trasmissione in diretta sui social network”. “

A cultural archipelago emerges in western Liguria

The new space of MAP, Museum of Primary Arts, was presented in Villanova d’Albenga.

A large empty industrial space. Very few works of art – five – from very different places and times, chosen as an example of what will be hosted in the space. A grand piano in the center. A musician who makes his instruments dialogue with the imposing echo that characterizes the space, walking among a few people who also wander curiously in the suggestive and alienating space.
This is how a new space intended for every form of art was presented on Sunday 22 September in Coasco (Villanova d’Albenga) in the Marina Verde area, a pioneer of a project destined to transform the entire place (a very well-known sports center until a few years ago) into an internationally renowned Museum and Exhibition Center by 2025.

“ On the over 50,000 square meters of greenery and built spaces, spaces dedicated to music, theater, art exhibitions, workshops will gradually arise in collaboration with prestigious national and international Cultural Institutes. By December 2024, five hundred square meters used until recently as warehouses will become a Permanent Exhibition Space. The recovery of the rest of the space will follow, trusting in the active collaboration of public and private entities present in the area ” says the young President of the MAP Association, Museum of Primary Arts Lorenzo Gaudenti, Graduated in Cultural Heritage Sciences at the University of Milan and Graduated in Economics and Management of Arts and Cultural Activities at the Ca ‘Foscari University of Venice.
” The MAP Association – Museum of Primary Arts, was born with the aim of contributing to making increasingly evident the existence of a #culturalarchipelago that brings the Ingauno territory alive thanks to the sea of ​​intelligence, activities, memories that has characterized this reality for centuries. Culture is not just a useless frill, but a bulwark of civilization and the engine of a sustainable economy, which enhances local belonging and traditions, placing them in relation to the complexity of globalization” continues Gaudenti, “it uses the #CollezioneTribaleglobale – and other private collections – to build events that through the evocative power of beauty build dialogues destined to act deeply; art is not simple decoration, but a tool intended to evoke states of consciousness linked to the great questions that human beings have always asked themselves, and the non-European arts, in their archetypal essentiality, are surprisingly current and suitable for dialoguing both with the traditional languages ​​of Western art, and with the most contemporary forms of expression born from the new creative opportunities offered by new technologies and the communication revolution allowed by the Internet.”

MAP is a network of exhibition spaces that have existed for years and are still in progress: the Artists’ Houses of Onzo and Cosio d’Arroscia, the Tribal Global Library of Onzo and the Sculpture Park of Rainer Kriester, to which the new, important and prestigious site of Villanova d’Albenga has been added today.
The presentation was decidedly unusual and suggestive, designed to indicate what the exhibition language chosen by the organizers will be. The guests (artists, cultural operators, representatives of Associations and Institutions) entered one by one into the large warehouse that until a few weeks ago housed building materials, welcomed by the sound of the horn of Jean Duchamp, a prestigious French musician and musicologist who composed a series of pieces specifically for the event entitled “6 Echoes from Marina Verde”, characterized by the dialogue between the musical instruments used and the echo produced by the large empty space; inside, on the left side a large 16th century painting placed in dialogue with a bronze work by Rainer Kriester and an important helmet mask from the Fang culture (Gabon). In the center, in front of the grand piano (a 1922 Bechstein placed on an ancient Persian carpet) the contemporary dimension of the visual arts is demonstrated by a large triptych by Enzo L’Acqua (Asymmetric Structures, 190 x 225 cm, 2000). On the opposite side of the space is a large sculpture of the Asmat people (Papua N.G.), 258 cm high, to ensure the dialogue between such different times and places.

“ Throughout the month of October the space will host musical and theatrical performances that will be held in conjunction with the renovation activities of the spaces, obviously in compliance with safety regulations; hence the choice to call this series of events #bellezzaincantiere” says Giuliano Arnaldi, Curator of the MAP, “For this reason we do not plan to open it to the public, but to broadcast it live on social networks”. “

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Dove / Where quando/ when

E’ nato il jardin situationniste / the situationist garden was born.

tra Cosio d'Arroscia e Onzo, passando per Vendone e....


Ansgar Elde, Ceramica . 1990

le opere esposte sono visibili qui https://flic.kr/s/aHBqjBENLb

Nasce nella Valle Arroscia un ” Jardin Situationniste”,  format ispirato al fortunato libro di Asger Jorn ” Le Jardin d’Albisola”. La rete di spazi espositivi organizzata dalle Associazioni MAP museo di Arti Primarie e SituaZioni Tribaliglobali ospita un insieme di eventi legati alla esperienza artistica e culturale attiva  nella seconda metà del secolo scorso nella Liguria di Ponente, tra Albisola e Cosio d’Arroscia. Tra Onzo e Cosio, dove sono già esposte in modo permanente opere di  Alechinsky, Appel, Corneille, Jorn, Vandercam,  Rainer Kriester e Henry Moore, sono visibili fino al 30 ottobre 2024 opere di  Carlos Carlè, Asgar Elde, Enzo L’Acqua e Saba Telli. Le opere d’arte moderna sono esposte in dialogo permanente con opere di arte tradizionale extraeuropea provenienti da Africa, Asia, Indonesia, Oceania . E’ possibile consultare una corposa biblioteca di settore, ed ogni evento è supportato da cataloghi consultabili anche on line. . La direzione artistica degli eventi è di Giuliano Arnaldi.

Où est le jardin.. ?

Un filo rosso mai spezzato lega la creatività di artisti che per tutto il Novecento scelsero quel triangolo magico tra Albisola, Calice Ligure e Cosio d’Arroscia come speciale casa dell’anima. Non solo i Futuristi, Lam, Fontana, Jorn – per citare i più “blasonati” – ma un popolo di creativi respirò quel soffio vitale, e diede un corpo alla propria immaginazione . La loro storia è forse ancora troppo ristretta nei confini del collezionismo locale, mentre risulterebbe di grande interesse generale  per capire cosa accadde in quegli anni, ben oltre i confini locali. La storia dei Situazionisti è in questo senso emblematica; quel vento potente partì da Cosio d’Arroscia ma incendiò prima Parigi e poi il mondo intero, prova provata che l’arte non è solo un grazioso orpello ma formidabile energia sovversiva. Nel “Jardin”  che abbiamo creato tra Cosio e Onzo, ne trovate alcuni, e ne troverete sempre più; nei limiti delle nostre possibilità l’intenzione è quella di creare dei “focus”, delle sintetiche retrospettive su singoli Artisti, senza alcuna pretesa se non quella di accendere una luce.”  L’evento è iniziato domenica 1 settembre a Onzo presso la Locanda Tribaleglobale con Saba telli, che quell’epoca la visse  con rara intensità e la testimoniò con ancor più rara bellezza, attraverso la sua vita e il suo lavoro; in consultazione anche alcuni rari cataloghi e testi legati al lavoro dell’Artista, provenienti da una collezione privata savonese, ed è in preparazione un catalogo che raccoglie la rara ed inedita documentazione;  Dal 15 settembre a Cosio d’Arroscia la galleria derive ospita una “reunion” – come usa dire oggi- di alcuni tra i più interessati manipolatori di materie di quegli anni: Carlos Carlè, Asgar Elde, Enzo L’Acqua e lo stesso Sabatelli per l’aspetto ceramico. 

A “Jardin Situationniste” is born in the Arroscia Valley, a format inspired by the successful book by Asger Jorn “Le Jardin d’Albisola”. The network of exhibition spaces organized by the Associations MAP museo di Arti Primarie and SituaZioni Tribaliglobali hosts a series of events linked to the artistic and cultural experience active in the second half of the last century in Western Liguria, between Albisola and Cosio d’Arroscia. Between Onzo and Cosio, where works by Alechinsky, Appel, Corneille, Jorn, Vandercam, Rainer Kriester and Henry Moore are already permanently exhibited, works by Carlos Carlè, Asgar Elde, Enzo L’Acqua and Saba Telli are visible until 30 October 2024. The modern works of art are exhibited in permanent dialogue with works of traditional non-European art from Africa, Asia, Indonesia, Oceania. It is possible to consult a substantial sector library, and each event is supported by catalogues that can also be consulted online. The artistic direction of the events is by Giuliano Arnaldi.

Où est le jardin.. ?

An unbroken red thread links the creativity of artists who throughout the twentieth century chose that magical triangle between Albisola, Calice Ligure and Cosio d’Arroscia as a special home for the soul. Not only the Futurists, Lam, Fontana, Jorn – to name the most “noble” – but a population of creatives breathed that vital breath, and gave a body to their imagination. Their story is perhaps still too narrow within the confines of local collecting, while it would be of great general interest to understand what happened in those years, well beyond the local borders. The story of the Situationists is emblematic in this sense; that powerful wind started from Cosio d’Arroscia but first set Paris on fire and then the entire world, proof that art is not just a pretty tinsel but a formidable subversive energy. In the “Jardin” that we have created between Cosio and Onzo, you will find some, and you will always find more; to the extent of our possibilities, the intention is to create “focuses”, synthetic retrospectives on individual Artists, without any pretension other than that of turning on a light.” The event began on Sunday 1 September in Onzo at the Locanda Tribaleglobale with Sabatelli, who lived that era with rare intensity and bore witness to it with even rarer beauty, through his life and his work; some rare catalogues and texts related to the Artist’s work, from a private collection in Savona, were also available for consultation, and a catalogue is being prepared that collects the rare and unpublished documentation; From 15 September in Cosio d’Arroscia the Derive gallery hosts a “reunion” – as they say today – of some of the most interested manipulators of materials of those years: Carlos Carlè, Asgar Elde, Enzo L’Acqua and Sabatelli himself for the ceramic aspect.

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Dove / Where

Sapere vedere, oltre la società dello spettacolo /Knowing how to see, Beyond the society of the spectacle.

Cosio d’Arroscia, casa degli artisti, sala verde. Fino al 30 settembre 2024

1. Sapere vedere. C’è un aspetto centrale ed indispensabile nell’esperienza percettiva? Se esiste è legato allo sguardo. Non mi riferisco al semplice guardare, ma a tutto ciò che implica sapere vedere. Ci si guarda dentro prima di guardare fuori, cosi come ciò che vediamo nutre il nostro essere più intimo. E spesso la realtà non è ciò che appare . 

Un corpo, un volto definiscono un carattere, lo animano rimandando ad un grumo di sensazione che nascono dalla inesorabile ed istintiva associazione di idee, conferendo   consistenza ontologica alla forma. Senza ricorrere alle esasperazioni di Lombroso si può dire che la, fisiognomica abbia un suo perché. Sono gli occhi a guardare? No, gli occhi sono strumento, e come diceva Saint-Exupéry, l’essenziale è invisibile agli occhi. 

Ma gli occhi parlano, sono lo specchio dell’anima e ci dicono chi siamo. E altrove? Nel mondo degli “altri” come si evoca la potenza dello sguardo? Uso l’espressione potenza perché lo sguardo profondo – quello alla Saint-Exupéry per intenderci – non prevede necessariamente una osservazione diretta della realtà per come si manifesta, ma per come essa agisce in noi evocando uno stato di coscienza. 

In realtà la funzione profonda non cambia: anche il realismo dell’arte occidentale funziona solo se evoca stati di coscienza, esattamente come l’alfabeto sintetico usato dai linguaggi degli artisti extraeuropei.
Ecco che le fessure di una maschera Dan o Punu, lo sguardo dipinto di un antico sapiente evocato in un dipinto del XVII secolo parlano di sentimenti che ci appartengono, che riconosciamo grazie ad un misterioso linguaggio di forma, colore e materia che dà vita ed emozione; è il risultato del lavoro dei nostri neuroni/specchio, e ci rende in un lampo consapevoli di un Mistero più grande di noi, anche se fatto su misura per noi, per essere compreso da noi, per essere usato da noi, per aiutarci a capire e governare ciò che di sorprendentemente misterioso ci accade. 

2. Oltre la società dello spettacolo. Un antico dipinto, due maschere africane, la tv Zéo  disegnata da Philippe Stark per Thomson negli anni 90 del secolo scorso, completa di telecomando. Sono questi gli elemento alfabetici usati da Giuliano Arnaldi ed Emilio Grollero per avviare un dialogo sulla differenza tra vedere e guardare, più in generale tra agire e subire nella società dello spettacolo. La vecchia tv è come si dice oggi un “pezzo di design”. Non essendoci segnale gracchia ed emette uno sfarfallio costante, efficace testimone della subalternità passiva e totale dello spettatore. Il telecomando già rimanda ad  altro; è disegnato per farci pensare d’istinto  ad una faccia, curiosamente ospitata in  una forma fallica. La potenza evocativa emerge però in modo consapevole nelle altre opere esposte, pur nella diversità degli alfabeti usati. Le antiche maschere   Punu e Dan parlano la lingua archetipale delle culture africane, che affidano all’essenzialità  il compito di evocare stati di coscienza come l’altro elemento, un talismano etiope posto al centro della stanza; rimanda ad antiche parole destinate a curare il corpo e l’anima. L’antico dipinto attribuito ad Assereto dichiara invece il proprio messaggio in modo esplicito, descrittivo, secondo la tradizione occidentale. In entrambi contesti   bisogna sapere – e volere – vedere, rifiutare il ruolo inumano di spettatori per rivendicare e praticare quello di attori. E’ il potere antico della parola – dal  latino tardo parabŏla , intesa come insegnamento, discorso -, che implica la responsabilità della scelta,  a fare la differenza tra società umana e società dello spettacolo. Prende corpo il monito scritto da Guy Debord nel 1967, e riscritto oggi sullo schermo della TV esposta da Emilio Grollero; la televisione  era agli albori e i social nemmeno immaginati: “l’intera vita della società, in cui dominano le moderne condizioni di produzione, si annuncia come un immenso cumulo di spettacoli. Tutto ciò che era direttamente vissuto, si è allontanato un una rappresentazione”.

L’installazione di Emilio Grollero

1. Knowing how to see. Is there a central and indispensable aspect in the perceptual experience? If it exists it is linked to the gaze. I’m not referring to simply looking, but to everything that involves knowing how to see. We look inside before looking outside, just as what we see nourishes our most intimate being. And often reality is not what it appears. 

A body, a face define a character, animate it by referring to a lump of sensation that arises from the inexorable and instinctive association of ideas, giving ontological consistency to the form. Without resorting to Lombroso’s exasperations, it can be said that physiognomy has its own reason. Are the eyes watching? No, the eyes are instruments, and as Saint-Exupéry said, the essential is invisible to the eyes. 

But the eyes speak, they are the mirror of the soul and tell us who we are. And elsewhere? In the world of “others” how is the power of the gaze evoked? I use the expression power because the profound gaze – that of Saint-Exupéry so to speak – does not necessarily involve a direct observation of reality as it manifests itself, but as it acts in us, evoking a state of consciousness. 

In reality, the profound function does not change: even the realism of Western art only works if it evokes states of consciousness, exactly like the synthetic alphabet used by the languages ​​of non-European artists.
Here the cracks of a Dan or Punu mask, the painted gaze of an ancient wise man evoked in a 17th century painting speak of feelings that belong to us, which we recognize thanks to a mysterious language of shape, color and matter that gives life and emotion ; it is the result of the work of our neurons/mirrors, and makes us instantly aware of a Mystery bigger than us, even if tailor-made for us, to be understood by us, to be used by us, to help us understand and govern the surprisingly mysterious things that happen to us.

2. Beyond the society of the spectacle. An ancient painting, two African masks, the Zéo TV designed by Philippe Stark for Thomson in the 90s of the last century, complete with remote control. These are the alphabetical elements used by Giuliano Arnaldi and Emilio Grollero to start a dialogue on the difference between seeing and looking, more generally between acting and suffering in the society of the spectacle. The old TV is, as they say today, a “piece of design”. Since there is no signal, it croaks and emits a constant flicker, an effective witness to the passive and total subordination of the spectator. The remote control already refers to something else; it is designed to make us instinctively think of a face, curiously housed in a phallic shape. However, the evocative power emerges consciously in the other works on display, despite the diversity of the alphabets used. The ancient Punu and Dan masks speak the archetypal language of African cultures, which entrust essentiality with the task of evoking states of consciousness like the other element, an Ethiopian talisman placed in the center of the room; refers to ancient words intended to heal the body and soul. The ancient painting attributed to Assereto instead declares its message in an explicit, descriptive way, according to Western tradition. In both contexts one must know – and want – to see, reject the inhuman role of spectators to claim and practice that of actors. It is the ancient power of the word – from the late Latin parabŏla, understood as teaching, discourse -, which implies the responsibility of choice, that makes the difference between human society and the society of the spectacle. The warning written by Guy Debord in 1967, and rewritten today on the TV screen exposed by Emilio Grollero, takes shape; television was in its infancy and social media was not even imagined: “the entire life of society, in which modern production conditions dominate, announces itself as an immense accumulation of shows. Everything that was directly experienced has receded into a representation.”

Giuliano Arnaldi, Cosio d’Arroscia 5 agosto 2024

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Dove / Where

NOMADISMO

“ L’uomo fu inizialmente nomade; oggi, assimilata la stanzialità ed a causa della mondializzazione, sta diventando “nomade” in un modo nuovo. I nomadi hanno inventato gli elementi basilari della civiltà; gli stanziali l’hanno organizzata. Chi si sposta non è detto che sia “barbaro” ma può essere una forza d’innovazione e di creazione; le società quando si chiudono agli itineranti, agli stranieri, a qualsiasi movimento, declinano. Con le nuove tecnologie del viaggio, reale o virtuale, si aprono nuovi scenari per l’umanità. Giunge a compimento l’egemonia dell’ultimo impero stanziale (gli USA), e incomincia la gara a rimpiazzarlo da parte delle tre forze nomadi di oggi: mercato, democrazia, fede”. Questo è l’incipit di un bel libro di Jaques ATTALI , L’UOMO NOMADE – SPIRALI 2006 – Pur essendo datato, nel senso che negli ultimi dieci anni i fenomeni migratori hanno assunto proporzioni e caratteristiche decisamente epocali, il testo di Attali definisce il perimetro dell’argomento. 

A noi interessa riflettere sulla dimensione estetica di quello che è il nomadismo per eccellenza, almeno nel nostro immaginario, ovvero quello che popola i deserti nord africani. Gli oggetti in uso presso quelle culture testimoniano la “ consueta” , sorprendente bellezza a cui ci hanno abituato le Arti Primarie. Nel caso dei picchetti Tuareg sono forma e segno a parlarci; quelli a forma piatta ed articolata si chiamano Ehel, sono posti all’interno delle tende per sostenere i pannelli Eseber – realizzati in fibra vegetale- e destinati a creare spazi intimi. I picchetti scolpiti a tutto tondo si chiamano  Igem,  sono posti all’esterno della tenda,  ne indicano l’ingresso e ne identificano gli abitanti .  Per i rari Burqua “Arouse” dei Rashaida è la  fantasmagoria di materiali ed oggetti usati per creare questo particolare manufatto ad evocare  antiche narrazioni.  Questi particolari veli nuziali fanno riflettere sui pregiudizi che abbiamo verso le  culture  diverse dalla nostra; essendo Burqua, istintivamente ci rimandano all’idea di oppressione e svilimento della donna; non è così, ed è sufficiente vederli per rendersene conto, apprezzandone la varietà di colori, materiali preziosi, intrecci. Non è coprire il volto o il corpo ad essere opprimente, ma essere obbligate a farlo, e c’è molto meno rispetto verso la donna nella ostentazione mercificata del nudo che si fa in occidente. 

Mentre i Touareg sono ampiamente conosciuti e per certi versi mitizzati, i Rashaida furono  l’ultima minoranza a migrare in Eritrea nel XIX secolo dalla Penisola Arabica.  I loro accampamenti sono prevalentemente presso Massawa, ed oggi possono  essere considerati i testimoni dell’unica cultura eritrea interamente nomade e di lingua araba, fortemente tradizionalista. Di carattere schivo e guerriero, storicamente  pirati e predoni , sono coloro che anticamente si occupavano  della tratta degli schiavi e che ancora oggi gestiscono operativamente il transito nel deserto dei migranti, gli schiavi del XXI secolo. 

“ Man was initially nomadic; today, having assimilated sedentary living and due to globalization, he is becoming “nomadic” in a new way. Nomads invented the basic elements of civilization; the residents organized it. Those who move are not necessarily “barbarian” but can be a force of innovation and creation; When societies close themselves to itinerants, to foreigners, to any movement, they decline. With new travel technologies, real or virtual, new scenarios are opening up for humanity. The hegemony of the last sedentary empire (the USA) comes to fruition, and the race to replace it by today’s three nomadic forces begins: market, democracy, faith”. This is the incipit of a beautiful book by Jaques ATTALI, L’UOMO NOMADE – SPIRALS 2006 – Despite being dated, in the sense that in the last ten years migratory phenomena have taken on decidedly epochal proportions and characteristics, Attali’s text defines the perimeter of the topic.

We are interested in reflecting on the aesthetic dimension of what is the nomadism par excellence, at least in our imagination, that is, that which populates the North African deserts. The objects in use in those cultures bear witness to the “usual”, surprising beauty to which the Primary Arts have accustomed us. In the case of the Tuareg pickets, it is the shape and sign that speak to us; those with a flat and articulated shape are called Ehel, they are placed inside the tents to support the Eseber panels – made of vegetable fiber – and intended to create intimate spaces. The all-round sculpted pegs are called Igem, they are placed outside the tent, they indicate the entrance and identify its inhabitants. For the rare Rashaida Burqua “Arouse” it is the phantasmagoria of materials and objects used to create this particular artefact that evokes ancient narratives. These particular wedding veils make us reflect on the prejudices we have towards cultures different from ours; being Burqua, they instinctively refer us to the idea of oppression and debasement of women; this is not the case, and it is enough to see them to realize this, appreciating the variety of colours, precious materials and weaves. It is not covering the face or the body that is oppressive, but being forced to do so, and there is much less respect towards women in the commodified ostentation of nudity that is done in the West.

While the Touareg are widely known and in some ways mythologized, the Rashaida were the last minority to migrate to Eritrea in the 19th century from the Arabian Peninsula. Their camps are mainly near Massawa, and today they can be considered the witnesses of the only entirely nomadic and Arabic-speaking, strongly traditionalist Eritrean culture. Of a shy and warrior nature, historically pirates and raiders, they are those who in ancient times dealt with the slave trade and who still today operationally manage the transit of migrants in the desert, the slaves of the 21st century. 

Giuliano ARNALDI, Onzo. 17 Maggio 2024

clicca qui per vedere le opere esposte https://flic.kr/s/aHBqjBqAcY 

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Dove / Where quando/ when

FURORE! La furia di Virabhadra parte da Onzo…

https://flic.kr/s/aHBqjB3VU9 clicca qui per vedere la collezione

FURORE! è il titolo scelto per presentare una importante collezione di placche in bronzo Hindu databili tra il XVII E IL XIX secolo raffiguranti il mito di Virabhadra, e provenienti dalla Collezione di Paola e Giuseppe Berger. Nell’imponente Pantheon  induista la figura di VIrabhadra giganteggia; egli distrugge, perché “la pazienza, troppo spesso messa alla prova, diventa furore. (Publilio Siro)”,  perché ad un certo punto il nuovo ed il giusto si fanno  strada solo sovvertendo, demolendo, senza alcuna remora e senza alcuna pietà. E’ il furore per eccellenza, quello di Virabhadra, ovvero la reincarnazione guerriera di Shiva. Presentato in anteprima a Onzo, presso la Casa degli Artisti, sarà uno degli eventi destinato a girare l’Europa in occasione di TRIBALEGLOBALE 24, Pensiamo Immagini, l’insieme di manifestazioni organizzate dalla Associazione SituAzioni Tribaliglobali per celebrare i vent’anni di Tribaleglobale. 

In esposizione novanta placche in metalli diversi – rame, ottone, bronzo – provenienti dalla Collezione dei milanesi Giuseppe e Paola Berger.

Abbiamo da tempo il privilegio di esporre oggetti provenienti da questa importante collezione, prevalentemente riguardante le culture Indiane; nota per la qualità delle opere, la collezione è presente in importati spazi museali pubblici come il Museo Pigorini di Roma ( a cui la Famiglia Berger ha donato oltre mille oggetti “BETEL” ) e la Biblioteca Ambrosiana di Milano, a cui Paola e Giuseppe Berger donarono parte della collezione di placche VIRABHADRA . Grazie alla disponibilità degli eredi di Giuseppe Berger, possiamo oggi esporne la restante parte, quella più  più intima e privata. 

ICONOGRAFIA

Le placche, databili tra il XVII E IL XIX secolo, sono realizzate in metalli diversi, mediante fusione a cera persa o a sbalzo. Ganci ed  anelli indicano l’uso di appenderle nei tempietti di famiglia, la presenza di un manico sul retro che ne consente l’impugnatura rimanda invece ad un uso cerimoniale. Sostanzialmente si conoscono due stili: uno più accurato nel dettaglio, definito aulico, l’altro più essenziale, conosciuto come tribale. La struttura ad arco evoca l’alone di luce che accompagna l’apparizione di un essere divino; dall’alto verso il basso possiamo trovare   al centro un mascherone leonino, ai lati il sole e la luna, il linga yoni, che simboleggia l’unione tra il dio e la dea,  e il toro Nandi, simbolo della cavalcatura di Shiva oppure  Il cobra , singolo o policefalo ma sempre in numero dispari; il volto di Virabhadra è sempre rappresentato come irato e feroce,   il terzo occhio e/o i tre segni sulla fronte indicano la devozione a Shiva. Le braccia possono essere fino a dieci, ed impugnano armi e simboli diversi. In basso, ai lati, si trovano abitualmente Daksa, rappresentato con la testa del montone,  e Sati, manifestazione serena della moglie di Shiva,  o Kali , la sua declinazione terrifica.

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Dove / Where focus

LA CASA DEGLI ARTISTI di Cosio d’Arroscia 2/ CoBrA!

Casa degli artisti, Cosio d’Arroscia.
Rete MAP MUSEO NOMADE DI ARTI PRIMARIE

In qualche modo l’esperienza dell’internazionale Situazionista, nata nel 1957 a Cosio d’Arroscia, nacque da una breve, intensa e lungimirante avventura artistica conosciuta come C0.Br.A. Il gruppo deve il nome alle città di provenienza dei fondatori, Copenaghen, Brussels, Amsterdam. Asger Jorn, Pierre Alechinsky, Karel Appel e altri tra cui Corneille e Vardercam . Nonostante la breve durata ( dal 1948 al 1951, con solo due mostre all’attivo ) quel modo di fare arte, così “brutale”, immediato e istintivo cambiò il modo stesso di intendere la pittura e la stessa idea di opera artistica. La critica radicale del mercato arrivò fino a cambiare la percezione del rapporto tra opera, artista e collezionista, e pose le basi per giungere qualche anno dopo alla provocatoria pittura industriale venduta a metro del “Situazionista” Pinot Galizio. In realtà gli Artisti del Co.Br.A. furono sperimentatori di nuove tecniche, facendo della riproduzione seriale di un’opera d’arte una esperienza non solo legata alla necessità di rendere l’accesso all’arte più economico ( e quindi più “democratico) . Le opere vennero “pensate” per essere riprodotte con tecniche di stampa particolari, spesso rese di fatto uniche con interventi originali e specifici sulle diverse copie, e gli stampatori vennero coinvolti nella creazione artistica. E’ particolarmente significativa in questa ottica l’esperienza dei Fratelli Pozzo di Torino e delle loro Edizioni d’Arte, dirette non a caso da Ezio Gribaudo, Artista poi divenuto Presidente Emerito della Accademia Albertina di Torino. La Prova d’Artista di Asger Jorn del 1970, che esponiamo in questa occasione, proviene da questa esperienza. Anche le altre opere in esposizione. La Prova d’Artista di Karel Appel , iconica nel linguaggio estetico di quel movimento, è stampata su pergamena, mentre la Prova d’Artista di Pierre Alechinsky è realizzata con tecniche diverse, dall’incisione alla fotografia. Certamente ci furono anche Artisti che della serialità dell’opera d’arte fecero un uso più “estetico” e conseguentemente commerciale, come testimonia la litografia di Corneille, ancorché realizzata in una bassa tiratura.

L’opera di Serve Vandercam è invece un dipinto su carta riportato su tela

“ Asger Jorn: dipingere con la tipografia” La testimonianza di Ezio Gribaudo “ Ho conosciuto Asger Jorn nei primi anni sessanta, durante la preparazione di un volume che ho stampato alla Fratelli Pozzo per Noel Arnaud, La langue verte et la cuite, edito da Jean-Jacques Pauvert. Il libro fu costruito sui tavoli del montaggio, dove si decorarono le lingue, si scelsero e ritagliarono le immagini; non fu preparata una vera e propria maquette, ma si procedette n una mise en page a più mani. Jorn lavorò una settimana. Fino a sera inoltrata dormendo su un lettino di fortuna in infermeria; capiva di avere a disposizione un parco macchine speciale e mi fu sempre grato di avergli dato l’opportunità di dipingere con la tipografia Jorn amava molto la tipografia, l’odore degli inchiostri e dei piombi, dei cliche e dei fani; gli piaceva lavorare direttamente sulle lastre e si cimentava a realizzare opere sperimentali di grafica di grande formato su cui interveniva personalmente di inchiostri e caratteri tipografici. Proprio per la Fratelli Pozzo realizzò la litografia più grande della sua carriera (200 x 140 cm). Jorn amava la parte più creativa e, come se si fosse trovato nel proprio atelier, riuscivamo a dar vita a un lavoro collettivo con i cromisti e le altre maestranze. Ho realizzato con lui due volumi, il primo nel 1970, Jorn a Cuba, testimonianza del suo lavoro svolto a L’Avana su invito del governo cubano nel 1968 che risponde, da un lato, all’idea dell’impegno sociale dell’autore e, dall’altro, ai legami internazionali anche con altri artisti, per esempio Wifredo Lam. Il secondo, Le jardin d’Albisola, è uscito postumo nel 1974 e documenta le ceramiche che l‘artista danese realizzava appunto in questo luogo della Liguria, ora diventato Museo.” Testimonianza di Ezio Gribaudo. Si ringrazia la dott.ssa CATERINA FOSSATI 

Somehow the experience of the Situationist international, born in 1957 in Cosio d’Arroscia, was born from a short, intense and farsighted artistic adventure known as C0.Br.A. The group owes its name to the cities of origin of the founders, Copenhagen, Brussels, Amsterdam. Asger Jorn, Pierre Alechinsky, Karel Appel and others including Corneille and Serge Vardercam. Despite the short duration (from 1948 to 1951, with only two active exhibitions) that way of making art, so “brutal”, immediate and instinctive changed the very way of understanding painting and the same idea of ​​artistic work. The radical critique of the market went so far as to change the perception of the relationship between work, artist and collector, and laid the foundations for arriving a few years later at the provocative industrial painting sold by the meter of the “Situationist” Pinot Galizio. Actually the Artists of the Co.Br.A. they were experimenters of new techniques, making the serial reproduction of a work of art an experience not only linked to the need to make access to art cheaper (and therefore more “democratic”). The works were “designed” to be reproduced with particular printing techniques, often made in fact unique with original and specific interventions on the various copies, and the printers were involved in the artistic creation. In this perspective, the experience of the Pozzo Brothers of Turin and their Art Editions is particularly significant, directed not by chance by Ezio Gribaudo, an artist who later became President Emeritus of the Accademia Albertina in Turin. Asger Jorn’s Proof of Artist from 1970, which we are exhibiting on this occasion, comes from this experience. Also the other works on display. Karel Appel’s Artist’s Proof, iconic in the aesthetic language of that movement, is printed on parchment, while Pierre Alechinsky’s Artist’s Proof is made with different techniques, from etching to photography. Certainly there were also artists who made a more “aesthetic” and consequently commercial use of the seriality of the work of art, as evidenced by Corneille’s lithograph, albeit made in a small edition.

“ Asger Jorn: painting with typography”

The testimony of Ezio Gribaudo

“ I met Asger Jorn in the early sixties, during the preparation of a volume that I printed at Fratelli Pozzo for Noel Arnaud, La langue verte et la cuite, edited by Jean-Jacques Pauvert. The book was built on the editing tables, where the languages ​​were decorated, the images were chosen and cut out; a real maquette was not prepared, but a multi-handed mise en page proceeded. Jorn worked for a week. Until late in the evening sleeping on a makeshift cot in the infirmary; he understood that he had a special fleet of machines at his disposal and he was always grateful to me for having given him the opportunity to paint with typography. Jorn was very fond of typography, the smell of inks and leads, clichés and fans; he liked to work directly on the plates and tried his hand at creating experimental works of large format graphics on which he personally intervened with inks and typographic characters. Precisely for Fratelli Pozzo he created the largest lithograph of his career (200 x 140 cm). Jorn loved the most creative part and, as if he were in his own atelier, we were able to create a collective work with the chromatists and other workers. I wrote two volumes with him, the first in 1970, Jorn in Cuba, evidence of his work carried out in Havana at the invitation of the Cuban government in 1968 which responds, on the one hand, to the idea of ​​the author’s social commitment and , on the other hand, to international ties also with other artists, for example Wifredo Lam. The second, Le jardin d’Albisola, was published posthumously in 1974 and documents the ceramics that the Danish artist made precisely in this place in Liguria, which has now become a museum.”

Testimony of Ezio Gribaudo.

Thanks to Dr. CATERINA FOSSATI

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LA CASA DEGLI ARTISTI di Cosio d’Arroscia 1/ Rainer Kriester

Le SituAzioni Tribaliglobali trovano casa nel paese dove nacque il Situazionismo. / Tribal global Situ Actions find a home in the place where Situationism was born in 1957.

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DANKE RAINER!

Onorare  la memoria di un grande Artista non è solo doveroso, ma utile. Si onora la memoria di qualcuno che ha lasciato  una traccia,  a disposizione di chi resta nel faticoso cammino della vita: una lezione che insegna a meglio vedere un percorso.  

Nel caso di un Artista questa verità è ancora più tangibile perché  l’arte parla un linguaggio universalmente semplice , chiaro in ogni tempo e in ogni luogo: il linguaggio della bellezza.

È un linguaggio che si comprende nella dimensione delle emozioni più che in quella delle parole, un linguaggio che non descrive ma evoca.

Capita talvolta che accada anche qualcosa di più , che il passare del tempo sveli una profondità ancora maggiore nella traccia rimasta e questo è certamente il caso di Rainer Kriester. 

Con il passare del tempo comprendiamo sempre più e sempre meglio il valore archetipico del suo linguaggio, quel mescolare segni, cifre, forme, materia in modo insieme così misterioso e così familiare , come a ricordarci che siamo fatti per comprendere la bellezza dei numeri e il rigore scientifico delle forme , dei segni e della materia, come a ricordarci che ciò accade perché non c’è frattura tra cervello e cuore.

Nello Sala Permanente dedicata a Rainer Kriester presso la Casa degli Artisti di Cosio d’Arroscia, Paese Situazionista, abbiamo scelto di esporre la formidabile quotidianità di Rainer: una parte delle preziosissime chine che il Maestro faceva praticamente ogni igiorno, per fermare pensieri da trasformare in opere d’arte. Sono potenti, monumentali e solide come le sue sculture. Articolati e profondi nel continuo rimando ad un antico alfabeto metaforico che sembra poter svelare i segreti più arcani dell’universo, queste piccole chine  anticipano la  “leggerezza”  delle sculture in pietra e bronzo, presenze quasi intangibili per l’armonia tra forme, materia e segno. Grazie alla disponibilità di Jean Marc Beyer  , custode attento della memoria di Rainer e Christiane, possiamo vedere quelle opere in un ambiente arredato con i mobili originali provenienti dalla abitazione Vendonese del Maestro e della sua indimenticata compagna di una vita, Christiane. 

Non c’è da stupirsi : lo splendore del Vero rompe gli schemi di una osservazione superficiale e obbliga ad un altro sguardo , ad un’altra profondità di campo dove il metro di misura si cerca dentro di se e non fuori.

Abbiamo scelto – in omaggio alla preveggenza visionaria di uno dei pochi Artisti del Novecento  che abbia colto , testimoniato e tradotto nel linguaggio del nostro tempo il messaggio profondo delle Arti Primarie – di esporre in questa Sala una prestigiosa raccolta di maschera a elmo, provenienti da diverse culture Africane. Di fatto sono  teste, e le loro forme furono studiate con attenzione da Kriester _ come testimonia una nutrita collezione di chine – , fino a diventare parte fondamentale del linguaggio  estetico del grande Maestro Tedesco. L’insieme di opere così  diverse nel tempo e nei luoghi ci consente di vedere la segreta armonia che nasce dal dialogo tra opere d’arte apparentemente così distanti tra loro per origine e materia. L’arte si manifesta così come  un forte richiamo alla  fratellanza universale di ogni essere umano: non è neutrale, è  maestra di Vita e ci ricorda nei momenti difficili come quello che stiamo vivendo che è nell’Altro che possiamo trovare il meglio di noi stessi. Danke,  Rainer. 

Honoring the memory of a great Artist is not only a duty, but a useful one. The memory of someone who has left a trace is honored, available to those who remain on the tiring journey of life: a lesson that teaches us to better see a path.
In the case of an Artist this truth is even more tangible because art speaks a universally simple language, clear in every time and place: the language of beauty.
It is a language that is understood in the dimension of emotions rather than in words, a language that does not describe but evokes.

Sometimes something more also happens, that the passage of time reveals an even greater depth in the remaining track and this is certainly the case with Rainer Kriester.
Over time we understand more and more and better the archetypal value of his language, that mix of signs, figures, shapes, matter in a way that is both so mysterious and so familiar, as if to remind us that we are made to understand the beauty of numbers and the scientific rigor of forms, signs and matter, as if to remind us that this happens because there is no break between the brain and the heart.In the Permanent Room dedicated to Rainer Kriester at the Casa degli Artisti in Cosio d'Arroscia, a Situationist town, we have chosen to exhibit the formidable everyday life of Rainer: a part of the very precious inks that the Maestro made practically every day, to freeze thoughts to be transformed in works of art. They are powerful, monumental and solid like his sculptures. Articulate and profound in the continuous reference to an ancient metaphorical alphabet that seems to be able to reveal the most arcane secrets of the universe, these small inks anticipate the "lightness" of sculptures in stone and bronze, almost intangible presences for the harmony between shapes, materials and sign. Thanks to the availability of Jean Marc Beyer, attentive guardian of the memory of Rainer and Christiane, we can see those works in an environment furnished with the original furniture from the Vendonese home of the Master and his unforgettable lifelong companion, Christiane.
No wonder: the splendor of the True breaks the mold of a superficial observation and forces us to take another look, to another depth of field where the yardstick is sought within and not outside.

We have chosen - in homage to the visionary foresight of one of the few 20th century artists who have grasped, witnessed and translated the profound message of the Primary Arts into the language of our time - to exhibit in this Room a prestigious collection of helmet masks, from different African cultures. In fact they are heads, and their shapes were carefully studied by Kriester _ as evidenced by a large collection of inks - until they became a fundamental part of the aesthetic language of the great German Master. The set of works so different in time and place allows us to see the secret harmony that arises from the dialogue between works of art that are apparently so distant from each other in origin and material. Art thus manifests itself as a strong call to the universal brotherhood of every human being: it is not neutral, it is a teacher of Life and reminds us in difficult moments such as the one we are experiencing that it is in the Other that we can find the best of ourselves . Danke, Rainer.